Speriamo che nevichi».
Da ex bambino altoatesino tutto casa/scuola/sci, poi ragazzino delle Dolomiti, e pure figlio d’albergatori, s’affida all’auspicio d’ogni buon montanaro: «Bisogna anche aver fortuna, che sia una bella annata di neve». Col portentoso moltiplicatore di immagine dei due slam vinti nel 2024, Jannik Sinner indica il cammino verso Milano-Cortina 2026.
Il comitato organizzatore delle Olimpiadi invernali lo ingaggia come Zio Sam per la campagna d’arruolamento dei volontari. Anche se lui respinge la retorica dell’«I want you», e anzi serenamente spiega: «Non spingiamo nessuno a fare il volontario. È un’esperienza eccezionale, apre la mente, permette di star vicino ai migliori atleti del mondo». Il colpaccio di marketing spalanca il sorriso del presidente del Coni, Giovanni Malagò. Che butta là un’idea: «Magari potresti fare l’apri pista». Rispondendo a una domanda, Jannik va oltre: «Io tedoforo per Milano-Cortina 2026? Mi piacerebbe». Comunque: il numero uno del tennis mondiale è il numero uno dei volontari per i Giochi.
Ne servirà un numero mastodontico, 18 mila. Compiti: gestione pubblico (si stima l’arrivo di 1,6 milioni di persone), assistenza atleti, sorridente ruolo d’orientamento generale. Disponibilità minima: 9 giorni. Candidature aperte.
Nel tennis li chiamano ball-boys. Raccatta palle. Che Sinner sia l’ambassador più che perfetto, lo ricorda chiunque abbia memoria della scena del marzo scorso. Torneo di Indian Wells, giornata di pioggia, la ragazzina arriva a tener l’ombrello per il campione seduto: lui afferra l’ombrello, fa accomodare lei e scambia due chiacchiere in attesa che spiova. «Ringrazio sempre questi ragazzi, fanno il loro compito con tanta voglia. Senza i volontari non ci sono eventi. Sono onorato di poter aiutare».
Il resto del racconto gira tutto intorno alla connessione Jannik-montagna. Ricordi, amicizie, botte d’adrenalina. «Per me e i miei amici sciare era come comminare. Una cosa normale. Le nostre montagne sono una meraviglia».
Il fatto che avrebbe potuto sfondare anche nello sci (se non fosse passato al tennis) è un capitolo ormai classico dell’agiografia del campione. Le immagini delle sue vacanze di Natale dilagano sui social: «Uno dei giorni per me più belli dell’anno resta il 25 dicembre. A casa mia si festeggiava la sera del 24, perché il giorno dopo i miei lavoravano. Il Natale l’ho sempre passato sulle piste. Questa giornata resta ancora molto importante».
Da Olimpiadi di Parigi mancate («Quest’anno erano l’obiettivo più grande, ma purtroppo non sono riuscito ad andarci (causa tonsillite, ndr»), a Olimpiadi di casa sostenute e propagandate: «Sono l’evento più importante per qualsiasi sportivo». Ultime riflessioni. Cosa permane dello sciatore nel tennista? «Lo sci mi ha dato tanto dal punto di vista mentale, perché basta un piccolo errore e poi diventa quasi impossibile vincere. Poi c’è la paura, quella è difficile da superare, soprattutto per le gare più veloci come la libera. Nel tennis per fortuna non devi aver paura, non ti succede nulla di grave mentre giochi. Forse l’aspetto che più lega i due sport è l’equilibrio: la ricerca continua del miglior bilanciamento, che è fondamentale nello sci, ha un ruolo anche nel tennis. Certo, l’adrenalina della neve non esiste in alcun altro sport»